Udine, 8 marzo 2022 

Bambina mia.Per te avrei dato tutti i giardinidel mio regno, se fossi stata regina,fino all’ultima rosa, fino all’ultima piuma.Tutto il regno per te. 

E invece ti lascio baracche e spine,polveri pesanti su tutto lo scenariobattiti molto fortipalpebre cucite tutto intorno. Iranelle periferie della specie. E al centroira. 

Ma tu non credere a chi dipinge l’umanocome una bestia zoppa e questo mondocome una palla alla fine.Non credere a chi tinge tutto di buio pesto edi sangue. Lo fa perché è facile farlo. 

Noi siamo molto confusi, credi.Ma sentiamo. Sentiamo ancora.Sentiamo ancora. Siamo ancora capacidi amare qualcosa.Ancora proviamo pietà. 

Tocca a te, ora,a te tocca la lavatura di queste crostedelle cortecce vive. 

C’è splendoreIn ogni cosa. Io l’ho visto.Io ora lo vedo di più.C’è splendore. Non avere paura. 

Ciao faccia bella,gioia più grande.L’amore è il tuo destino.Sempre. Nient’altro.Nient’altro. Nient’altro. 

Mariangela Gualtieri, da “Quando non morivo” 

 

Faccio mia questa meravigliosa poesia di Mariangela Gualtieri, poetessa italiana contemporanea che amo molto: può esserci di grande conforto, in tempi di cupo pessimismo per un mondo in declino. La dono virtualmente a tutte le bambine e a tutte le ragazze, a loro modo “nostre figlie”, che ora, e ancora per un po’, continueranno il loro viaggio nella vita insieme a noi, ma ben presto diverranno protagoniste di questo mondo così difficile, così duro, a volte anche così brutto. Negli ultimi giorni, dopo aver attraversato le tempeste dovute al COVID, nuove e tristi notizie ci colpiscono. La prima tentazione che abbiamo è quella di proteggere le nostre bambine, le nostre ragazze dalle immagini di sangue e di violenza, nascondendo loro le baracche e le spine, il buio e il sangue. Così facendo le priveremmo, invece, degli strumenti per vincere quel buio. La vita non è facile, lo sappiamo, sappiamo che, nonostante tutti gli sforzi, prima o poi le nostre bambine si scontreranno con la polvere e con l’ira, con la confusione e la sensazione di sconforto che negli ultimi tempi spesso colpisce noi adulti. E potranno usare solo due armi per proteggersi: l’amore e la pietà. L’amore. Quella forza potente ci spinge comunque a volerci essere, ad amare la vita, a maledirla a volte, ma a non volerci rinunciare mai. Quella forza potente che ci spinge a lavar via le croste per far emergere lo splendore che c’è in ogni cosa, fermandoci per guardarci intorno e cercare la bellezza in noi e fuori di noi. 

La bellezza, lo splendore sono nell’amore, anche e soprattutto quando intorno ci sono baracche e rovine. 

 

La pietà. Con il termine si indica quel sentimento di affettuoso dolore, di commossa e intensa partecipazione e di solidarietà che si prova nei confronti di chi soffre. Ma a me piace pensare che la poetessa interpreti il termine in senso etimologico, dal latino piĕtas. Nella civiltà romana la pietas era un perno dei rapporti tra gli uomini e nella relazione con il divino. Una cosa molto più concreta di quanto possiamo immaginare dall’uso, e abuso, del termine. Pietas significava prendersi cura degli altri, ma innanzitutto rispettarli, a partire dalla cerchia familiare. Un episodio ci aiuta a comprendere il senso della pietas latina: la fuga di Enea da Troia in fiamme. L’eroe rischia la vita non per salvare sé stesso (per un uomo sarebbe molto facile!), ma per mettere in salvo il vecchio genitore Anchise (se lo carica addirittura sulle spalle!), il piccolo figlio Ascanio (che prende per mano!) e la moglie Creusa, preoccupandosi anche di mettere in sicurezza le statuette degli dei Penati: non è il salvataggio di oggetti, e quindi di ricchezza, ma è il segno di un legame indissolubile tra l’uomo e la divinità, quel senso del sacro che accompagna sempre la nostra vita, anche nei momenti più difficili, quando la sentiamo a rischio e quando siamo più fragili. Non ho potuto fare a meno di pensare ad Enea, nel guardare le immagini trasmesse in questi giorni dai media: famiglie, donne, bambini, in fuga dalle loro case, portando con sé quello che hanno di più caro, madri e padri che mettono a rischio la propria vita per salvare i propri figli, madri e padri che mettono a rischio la propria vita per salvare figli che non sono i loro. Nel buio della guerra, delle rovine, lo splendore è in questi gesti di umana pietas, gesti da cui nasce speranza. 

La pietas di cui oggi abbiamo molto bisogno trova in un’altra parola il suo sinonimo più attuale: il rispetto. E qui partirei dalla prima forma di rispetto che dobbiamo sentire: quella per la Natura, della quale siamo attenti custodi e non indifferenti padroni, per gli animali, il mare, i boschi, il mondo che ci circonda. La bellezza, lo splendore sono nel rispetto, anche e soprattutto quando intorno ci sono baracche e rovine. C’è un altro senso della pietas modernissimo, che dovremmo riscoprire. La comprensione per l’altro, la capacità di allungare lo sguardo, alzare gli occhi dal nostro ombelico e guardare dentro chi ci sta vicino. Iniziare a com-prendere chi ci sta vicino, per poi allargare il nostro sguardo agli altri. Iniziare a com-prendere il compagno o la compagna di banco, il vicino di casa. Saremo chiamati, tra poco, ad accogliere e com-prendere qualcuno che arriva da lontano. La bellezza, lo splendore sono nella comprensione, anche e soprattutto quando intorno ci sono baracche e rovine. 

Fermiamoci a cercare amore e pietà, insegniamo amore e pietà, nel senso di rispetto e comprensione, viviamo con amore e pietà. Non nascondiamo il brutto, ma cerchiamo ostinatamente l’armonia anche in mezzo ai cocci. Troppo facile, dipingere l’umano come una bestia zoppa e il mondo come una palla alla fine, fermarsi a constatarne la cattiveria, prendere atto del fatto che c’è guerra, c’è dolore. Troppo facile tingere tutto di buio pesto e sangue, vivere nella paura. Se si fa attenzione, se ci si lascia guidare dall’amore e dalla pietà ci si accorge che c’è splendore in ogni cosa. Questo auguro alle nostre bambine e alle nostre ragazze: trovare lo splendore che è in ogni cosa e crescere come donne in grado di splendere. 

E questo augurio, che oggi, 8 marzo, rivolgo alle bambine e alle ragazze, lo estendo anche ai bambini e ai ragazzi. Perché l’amore e la pietà non hanno sesso e sono gli strumenti per formare esseri umani consapevoli e desiderosi di costruire un mondo diverso.  

Io ci credo: c’è splendore in ogni cosa. Io l’ho visto. E ora, in questi tempi bui, lo vedo di più.
 
 
​Maria Elisabetta Giannuzzi
DS IC 2 Udine